Traffico internazionale di stupefacenti all’ombra della mafia, tre arrestati

Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Trapani e militari del GICO del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Palermo, hanno dato esecuzione oggi, alle prime luci del giorno, ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Palermo, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, nei confronti di tre persone ritenute facenti parte di una più ampia associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

L’operazione è denominata “Eden 3 Pequeno” dal nome dello spagnolo Maomet Pequeno, uno dei referenti esteri per il traffico di hashish dal Nord Africa verso Sicilia, Calabria e hinterland milanese.

I tre avrebbero operato sotto l’egida di Cosa nostra e all’ombra del boss latitante Matteo Messina Denaro. Sono anche in corso, in tutto il territorio nazionale, decine di perquisizioni, che vedono impiegati oltre cento tra carabinieri e finanzieri supportati da unità cinofile, in abitazioni e luoghi nella disponibilità degli indagati che sono, in totale, diciannove.

Ai domiciliari è finito (per ragioni di età) Antonio Messina, 73 anni, ex avvocato e residente a Bologna. Custodia cautelare in carcere, invece, per Giacomo Tamburello, 59 anni, e Nicolò Mistretta di 64 anni. Tutti e tre sono di Campobello di Mazara e, secondo gli inquirenti, dal 2013 al 2018 avrebbero importato in Italia ingenti quantità di hashish attraverso il Marocco e la Spagna. Mistretta, dallo scorso aprile, percepiva 500 euro al mese come reddito di cittadinanza. Non aveva un’occupazione ufficiale e le vecchie sentenze di condanna, risalenti al 1998 e al 2001, non precludono la concessione del beneficio. I finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria stanno indagando anche su quest’aspetto per verificare se ci fossero le condizioni patrimoniali richieste per ottenerlo.

Tre le forniture monitorate dai finanzieri: oltre 240 chilogrammi di droga furono sequestrati a Carate Brianza ed erano destinati alle piazze milanesi dello spaccio -avrebbero fruttato circa 350mila euro se immessi sul mercato – una “partita” di 180 chili era stata ceduta a clienti di origine calabrese mentre un carico di 60 chili fu sequestrato nel 2015 in Toscana. Le indagini hanno consentito di documentare, inoltre, numerosi episodi di spaccio al minuto e l’acquisto di due armi da fuoco.

Ulteriori elementi sono stati acquisiti, nell’ultimo periodo partendo dal monitoraggio di Angelo Greco, arrestato nell’aprile 2018 – nell’ambito dell’operazione “Anno zero” – per partecipazione ad associazione mafiosa in quanto affiliato alla famiglia di Campobello di Mazara e in costante collegamento con il vertice del mandamento di Castelvetrano (condannato con rito abbreviato lo scorso 11 novembre a otto anni di reclusione).

Gli investigatori hanno intercettato Antonio Messina mentre parlava con Giuseppe Fidanzati – uno dei figli di Gaetano Fidanzati, il boss dell’Acquasanta di Palermo ormai deceduto – che a Milano aveva stabilito la base operativa dei traffici di droga. L’uomo risulta indagato nell’inchiesta.

Nelle intercettazioni c’è un riferimento ad un “ragazzo” di Castelvetrano, che sarebbe Francesco Guttadauro, nipote di Matteo Messina Denaro, che era stato arrestato. Secondo Fidanzati se “don Matteo” fosse stato presente non sarebbe stato arrestato. Fidanzati ricorda anche un incontro alla stazione di Trapani con “iddu”. Non è chiaro, però, se si riferisse a Messina Denaro o al nipote.
L’uomo misterioso si era fatto accompagnare a bordo di una Mercedes da “Mimmu”, che potrebbe essere Domenico Scimonelli, poi individuato come messaggero del boss latitante. Scimonelli, infatti, possedeva davvero una Mercedes.

Antonio Messina è già noto alle cronache giudiziarie: fu condannato per traffico di droga negli anni Novanta e per questo radiato dall’Ordine professionale. Fu anche  indicato come mandante – dai collaboratori di giustizia Rosario Spatola e Vincenzo Calcara – per l’omicidio del magistrato Giangiacomo Ciaccio Montalto. Per il delitto sono stati condannati Totò Riina e Mariano Agate mentre Messina fu scagionato.