«A ventisette anni dalla strage di via D’Amelio non possiamo limitarci a un rituale momento commemorativo. Occorre fare una profonda riflessione sull’impegno dello Stato nella lotta alla mafia, negli anni che precedettero la stagione delle stragi del ‘92 e su quello che accadde dopo».
Lo ha detto il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci che stamane, insieme agli assessori Gaetano Armao, Toto Cordaro e Ruggero Razza – in occasione dell’anniversario delle strage in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina – ha deposto dei fiori in via D’Amelio.
«Dalle recentissime notizie che provengono dalla desecretazione dei verbali della Commissione parlamentare Antimafia – continua il governatore – emerge un quadro di responsabilità istituzionali che va oltre la semplice insipienza o incapacità. Paolo Borsellino fu scientificamente lasciato solo e senza strumenti, in prima linea contro la criminalità mafiosa che in quegli anni aveva raggiunto l’apice della sua potenza economica e militare».
«Il ricordo di quella terribile strage – ha proseguito Musumeci – deve essere il punto di partenza per le Istituzioni, affinché tengano alta la guardia contro l’illegalità e i tentativi di infiltrazione affaristica e criminale e al contempo si facciano parte diligente per diffondere, soprattutto tra i giovani, cultura e stili di vita improntati all’etica dell’onestà».
«Lo Stato – ha concluso il presidente della Regione – ha potenzialmente tutti gli strumenti necessari per prosciugare le pozze di consenso sociale alle quali attingono i clan criminali. Occorre però avere il coraggio politico di sciogliere i nodi legislativi che frenano, o impediscono, di scommettere sulla famiglia, sulla scuola, sulla cultura e sulla formazione per un futuro libero dal bisogno e quindi dai possibili condizionamenti criminali».
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