“Sorella Sanità”, Damiani scrive ai magistrati e fa nomi eccellenti della Politica siciliana

Una lunga lettera inviata ai magistrati che indagano, anche, su di lui nell’ambito dell’operazione “Sorella Sanità”. L’ha scritta Fabio Damiani e spedita alla Procura di Trapani che l’ha condivisa – come riporta un articolo pubblicato oggi su Live Sicilia.it – con i pm di Palermo che coordinano l’indagine sulla corruzione nella Sanità pubblica siciliana.

Nel documento Damiani si definisce “vittima di un sistema” in cui l’ingerenza della Politica sarebbe pervasiva e fa nomi e cognomi. Nella sua lista ci sono personaggi di vertice a livello regionale, con incarichi istituzionali, rappresentanti di partito e assessori di giunte di governo, vecchie e nuove, che attraverso la gestione della Sanità avrebbero acquisito consenso elettorale e posizioni di potere.

Damiani – riferisce sempre Live Sicilia.it – racconta delle pressioni politiche per le nomine nei posti chiave di ospedali e Aziende sanitarie o per favorire certe imprese a scapito di altre e cita episodi, incontri e scontri a cui avrebbe assistito di persona. L’ex direttore generale dell’Asp di Trapani ed ex responsabile della Centrale Unica di Committenza che gestiva appalti milionari nella Sanità siciliana avrebbe scritto di sentirsi in pericolo.

Damiani si trova in carcere dal momento dell’arresto, avvenuto lo scorso mese di maggio, e finora non avrebbe manifestato la volontà di collaborare con gli inquirenti come invece ha fatto il suo faccendiere di fiducia Salvatore Manganaro che ha ammesso di aver intascato tangenti. I nomi contenuti nella lettera sono, però, agli atti nei fascicoli delle due Procure.

Si indaga, infatti, sia a Palermo, dove sono state aggiudicate gare di appalto per 600 milioni di euro, ma anche a Trapani dove Damiani ha gestito piccole e grandi commesse, compresa la convenzione con il laboratorio Emolab di Alcamo finito sotto indagine per la vicenda dei tamponi Covid falsati. Il lavoro dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria si intreccia con quello dei carabinieri del Nas.

Intanto Manganaro, tramite il suo legale, l’avvocato Marco Lo Giudice, ha presentato una richiesta di patteggiamento che prevede la condanna a quattro anni e due mesi di reclusione e la restituzione di 240 mila euro che, secondo l’imprenditore agrigentino, sarebbe la sua quota di mazzette.

Non è ancora noto se la Procura di Palermo esprimerà parere favorevole. Quel che appare certo è che le dichiarazioni di Manganaro hanno aperto uno squarcio sul livello politico dell’inchiesta e molti dei nomi da lui fatti coinciderebbero con quelli che Damiani ha indicato nella lettera.