Pablito nel ricordo di Gian Maria, Giacomo e Francesco

Dalle pagine facebook di tre amici e colleghi che come me colorarono i loro vent’anni di un AZZURRO mondiale grazie ad un “ragazzo come noi”: Paolo Rossi.

Questo il ricordo di Gian Maria Tavanti:
Non ci credeva quasi nessuno, in quel giorno di luglio. Anche se avevamo battuto l’Argentina, e l’Argentina non era male: aveva Kempes, Diaz, Ardiles, Bertoni, Passarella, e soprattutto Maradona. Ma Gentile lo aveva fermato, e la squadra si era superata, così 2-1, Tardelli e Cabrini, e potevamo sperare.Ecco, sperare. Giusto quello. Perché adesso ci toccava il Brasile. Con Falcao, Cerezo, Socrates, Junior, e Zico: la squadra più forte del mondo, quella che il mondiale lo aveva già vinto prima di cominciare. Anche con un portiere così così, e un paracarro come Serginho centravanti: a loro il centravanti non serviva, bastavano gli altri.Mentre a noi serviva, il centravanti, eccome se serviva; ma quello che avevamo non convinceva nessuno. Perché era stato bravo, Paolo Rossi, prima: ma poi lo scandalo scommesse, due anni fermo, e ora di nuovo in nazionale, per i mondiali, quattro partite pessime, zero goal, e quasi tutti a pensare che era come giocassimo in dieci.
Anche perché Rossi era un centravanti strano. Non aveva il fisico dei Nordahl o dei Charles, alti e grossi e potenti e forti di testa. Non aveva l’impeto e il tiro di Riva, non la cattiveria di Bonimba, neanche la caparbietà di Chinaglia, l’eleganza di Gabetto, la tecnica di Meazza, l’acrobazia di Piola. Diciamola tutta: neppure sembrava un centravanti, Paolo Rossi, mingherlino in mezzo all’area, rapido ma non velocissimo, e un cognome che dovevi sempre aggiungere il nome, perché Rossi ce n’erano già troppi.
Ma davanti ci stava lui, e noi avevamo il Brasile, e dovevamo pure vincere per forza, perché col pari si tornava a casa. Il più brasiliano dei nostri, il Becca, era rimasto in Italia, e un mio amico interista decise che avrebbe tifato contro gli azzurri per questo – perché il Becca, se volevi, ti faceva impazzire (poi magari sbagliava due rigori in cinque minuti, ma questa è un’altra storia). Quindi incontravamo il Brasile con possibilità che sentivamo teoriche: certo, si poteva vincere, ma lo pensavamo anche nel ’70, in Messico, e invece poi quattro pappine, i sei minuti di Rivera, e i pomodori all’aeroporto.
Io ero nel mio collegio, in sala comune, con una cinquantina di ventenni a vedere la partita, strappando due ore, ma anche tre, all’esame di storia della filosofia. Ero sceso per tempo per prendere un buon posto, e chiacchierare: opinione comune che sì, eravamo migliorati, ma poche storie, il Brasile era più forte, e dove andavamo con Rossi e Graziani davanti? E chi poteva giocare, Altobelli? Certo, noi una bella difesa, e Conti spettacolo anche più di Antognoni, ma vincere…
Però l’Italia, ai mondiali, si guarda sempre, e figurati col Brasile. E non fai in tempo a capire come siamo messi in campo, che GOAL!!! Paolo Rossi arriva su un cross e la butta dentro. Dai, dai, dai, ci proviamo, anche se è lunga, e loro hanno Cerezo, Zico, Falcao, e Socrates…
Che infatti segna, una ventina di minuti dopo. 1-1, così passa il Brasile. Che continua a giocare, tiene palla e attacca, quei movimenti da pantera che sembrano lenti e invece, attenti alle punizioni, la palla ce l’hanno sempre loro, e la giocano pure dietro, ma che fa Cerezo?, che pallaccia orizzontale, e infatti Rossi la vede, si butta in mezzo, la prende, va dritto in porta, e 2-1, siamo di nuovo davanti, ce la possiamo fare, cazzo che partita, hai visto Rossi? e chi se l’aspettava, che minuto siamo?
È il 25°. È lunga, è ancora lunga, ma intanto un goal loro lo devono fare, e noi siamo davanti. Il tempo passa, siamo davanti, si avvicinano le semifinali, non ci credo, che minuto è? Parata di Zoff, dai che reggiamo, che minuto siamo? Manca mezz’ora, è ancora lunga, però Serginho non la butta dentro mai, poco ma sicuro, non lo dire che mi tocco le palle, che minuto è?
È il 68°, Falcao con una finta manda al bar un paio dei nostri, e la piazza. Zoff non ci arriva, forse la tocca qualcuno. 2-2, la sala comune bassa si abbatte sulle sedie e le poltrone, ci guardiamo, cazzo no, adesso è dura, cinquanta ventenni maschi tra esami e ormoni a palla sprofondano nello scoramento, che è una parola da anziani, sì, ma in quel momento lo eravamo diventati tutti, due volte in vantaggio col Brasile e due volte raggiunti. Ci guardiamo in faccia, ce la possiamo fare? Ci diciamo sì, non c’è due senza tre, e loro in difesa mica draghi, ma mica siamo convinti, e mica è facile. Scendiamo in campo anche noi cinquanta, a difendere e attaccare con gli esami dimenticati e gli ormoni a palla, siamo Gentile e Antognoni, Tardelli e Bergomi, hai visto che bravo il ragazzino?, e sudiamo, perché per non studiare basta perdere una t ed è facile, e poi è luglio, e gli ormoni l’ho già detto?
L’odore non lo ricordo, ma l’urlo sì. Manca un quarto d’ora alla fine, c’è un pallone buttato dentro, confusione di maglie e di gambe, e poi vediamo la rete che si gonfia, ma neanche troppo, però è goal, è goal, siamo 3-2, passiamo noi, ma chi ha segnato, autorete? No, è Rossi, Rossi, ancora lui, tripletta, chi è che diceva che era una pippa? Tre, ne ha fatte, tre! E i brasiliani non ci credono, ce ne ha fatti tre?, si guardano, le pantere si muovono lente, ma ricominciano.
Però, stavolta, è troppo tardi davvero. Un’unghiata ci provano, a darla, ma Zoff lo inchioda, il pallone, per fermarlo sulla linea. 3-2, il Brasile è fuori, noi andiamo avanti. Sarà Polonia, poi la Germania, ma il mondiale lo abbiamo vinto lì.
E lo ha vinto Paolo Rossi, quel mondiale. Il centravanti per caso, che non sembrava, l’uomo comune in mezzo all’area che mi ha regalato una vittoria meravigliosa.
Lo ringrazio ancora, oggi che se n’è andato. Nella discrezione, sottomisura, come le sue reti. Con quella classe ancor più limpida perché non si fa notare. Ciao, Paolo: davvero uno di noi.

Questo il ricordo di Giacomo Pilati:
Quando l’Italia vinse nel 1982 i mondiali di Spagna e Antonello Venditti cantava “Paolo Rossi era un ragazzo come noi”, io sognavo un giorno di intervistarlo per ascoltare dalla sua bocca il racconto di quella notte che nessuno di noi ha mai più dimenticato. Uno dei tanti sogni che si fanno quando uno è innamorato di questo mestiere. E invece accadde che nell’estate del 2002 lui scrisse il libro “Ho fatto piangere il Brasile” e io mandai una mail alla casa editrice per invitarlo a San Vito Lo Capo alla III edizione della rassegna “Libri, autori e bouganville” a cura dal Comune e dalla Pro Loco (ora siamo giunti alla ventiduesima edizione…). E mi sembrava una richiesta tanto per farla, non ci speravo per niente. E invece lui mi chiamò al telefono e a me sembrava uno scherzo e mi confermò tutto. Gli dissi che l’hotel che lo avrebbe ospitato era un tre stelle e magari lui, abituato a categorie superiori , desiderava altro. E insomma ci saremmo dati da fare in ogni modo per accontentarlo. E invece lui rispose: “Per me va benissimo, io a San Vito dormirei pure in spiaggia”. E ci abbiamo riso su. Il 7 settembre del 2020 il mio sogno dei mondiali era davanti a me. Un uomo semplice e umile che, circondato ad ogni passo lungo il corso da decine di tifosi, si concedeva a tutti: autografi, fotografie, abbracci. Non era un divo e si vedeva. Era proprio un ragazzo come noi. Poi in via Venza, spettacolo puro. La gente a centinaia assiepava lo slargo, fu una serata indimenticabile (nella foto di Federico Zanta, insieme a Rossi, io e il sindaco Peppe Peraino). Ricordo ancora la sua risata fragorosa alla battuta di Bartolo Sieli dal pubblico, quando disse che i brasiliani non mangiavano uova dal 1982 perché temevano di trovarci tre “rossi”.

Questo infine, il post di Francesco Rinaudo, un ricordo di “tattica e ‘core”:
Lo ripubblico. Mi sembra il minimo…
Il Brasile siamo noi !!!!
“A la cinco de la tarde”… o quasi… accadde l’impossibile…
… 5 luglio 1982, ore 17,15:
allo stadio Sarrià di Barcellona scendono in campo Italia e Brasile nei quarti di finale del Campionato del Mondo di calcio.
L’arbitro israeliano, Abraham Klein, è pronto per il fischio d’avvio.
In Spagna fa caldo. In Italia di più.
Mio padre, i miei fratelli ed io eravamo davanti alla Tv a torso nudo. Fuori, 40 gradi all’ombra.
Saranno fra i sudori più felici della nostra storia di appassionati di calcio.
Quella fu una partita leggendaria, incredibile, il cui livello tecnico fu ben superiore a qualunque altro precedente o successivo nella storia della nazionale di calcio italiana.
Ai brasiliani bastava un pari per passare il turno ed andare in semifinale.
Noi giocavamo per un solo risultato, la vittoria: dunque, o dentro, o fuori.

Il “come” ci arrivammo rappresenta l’essenza ed al tempo stesso la bellezza del calcio; è la felice mescolanza di quegli ingredienti tipici, che hanno fatto grande questo sport. Da sempre.
Due volte in vantaggio, due volte raggiunti e, quando cominciavamo a disperare, ecco l’ultimo lampo, quello decisivo, il terzo e definitivo, che ci avrebbe dato una clamorosa, quanto meritata vittoria.
Quel Brasile, a detta di molti, era il più forte e completo di ogni tempo:
più completo di quello del 1958, più forte tatticamente di quello che ci batté in finale a Mexico ‘70.
Il Ct brasiliano, Telè Santana, aveva cinque talenti puri a disposizione :
Cerezo, Falcao, Socrates, Zico ed Eder e, pur di farli coesistere, impiegandoli contemporaneamente, si inventó un nuovo sistema di gioco, fino ad allora sconosciuto, almeno da noi: il 4-2-3-1.
In Europa lo avremmo visto solo 13 anni dopo quella fantastica partita, a metà degli anni ‘90, utilizzato, non a caso, dagli allenatori portoghesi, da quelli spagnoli e dal CT francese Aime Jacquet, che nel 1998 ci vinse il Mondiale a casa sua.
Abbiamo sempre considerato gli spagnoli ed i portoghesi gli inventori di questo modulo, poi replicato in Italia dalla Roma di Spalletti sul finire degli anni ‘90.
È un errore :
la primogenitura fu brasiliana e risale a quel pomeriggio torrido del 1982 al Sarrià di Barcellona, quando “a la cinco de la tarde” Paolo Rossi non sapeva ancora che da lì ad un paio d’ore, dopo un’epica battaglia, sarebbe diventato per tutti “Pablito”.
A quell’epoca però, di quella novità tattica, non si accorse nessuno.
Nando Martellini, il telecronista Rai dell’evento, ci descriveva un Brasile a tre punte (da destra a sinistra : Zico, Serginho ed Eder), schierato con un classico 4-3-3.
Non fu così.
Martellini aveva annunciato le nostre marcature, da destra a sinistra, nel modo seguente:
Gentile su Eder, Collovati su Serginho e Cabrini su Zico. Tutto secondo tradizione e buon senso.
Ma quando invece vide che Gentile si era incollato come una sanguisuga a Zico, seguendolo per tutto il campo, su e giù senza mai fermarsi, così come era accaduto con Maradona qualche giorno prima, ne dedusse che Cabrini avrebbe quindi marcato Eder.
Nulla di più errato.
Bearzot si era accorto del nuovo sistema di gioco dei brasiliani ed aveva agito di conseguenza :
su Eder, che attaccava sulla propria fascia sinistra, andó in marcatura Oriali, mentre Cabrini rimase sulla fascia opposta, nel sua posizione consueta (quella di terzino sinistro) e prendeva ad uomo l’avversario che gli veniva incontro sulla sua fascia, la destra brasiliana : il più delle volte Socrates, ma non solo.
Tutto ciò perché il Brasile era schierato nel modo seguente :
in porta: 1. Valdir Peres;
difesa a 4, in linea, composta da destra a sinistra da :
2.Leandro, 3.Oscar, 4.Luizinho, 6.Júnior.
Davanti ai quattro difensori uno schermo di due mediani/registi dai piedi buoni :
15.Falcão e 5. Cerezo.
Davanti a questi due calciatori agivano tre mezzepunte potenti, tecniche, eclettiche e fantasiose, da destra a sinistra :
8. Socrates 10. Zico 11. Eder.
Davanti a loro tre, unico terminale offensivo, più giocatore di sponda che centravanti d’area di rigore : 9. Serginho, che per tutta la gara fu sistematicamente anticipato da Fulvio Collovati (e poi da Bergomi).
Per un complessivo 4-2-3-1 a zona, in cui nessuno dei 5 calciatori di metà campo, tranne Eder, che rimaneva sempre sulla fascia sinistra, aveva una posizione fissa ma invece svariava a seconda del proprio istinto, libero di muoversi lungo tutto il fronte di gioco, sia orizzontalmente che verticalmente.
È così l’unica marcatura fissa italiana a centrocampo fu quella di Oriali su Eder.
Gli altri nostri centrocampisti (Tardelli, Antognoni e Conti) marcavano a zona, secondo i dettami della zona mista (o calcio all’italiana), che prevedeva appunto a centrocampo sia la marcatura ad uomo che quella a zona.
E così, quando Socrates stringeva al centro, Cabrini lo lasciava alla marcatura di Antognoni e si preoccupava di marcare ad uomo il terzino destro Leandro, quando questi si proiettava in avanti sulla sua fascia di competenza.
Allo stesso modo, Tardelli sul centro destra prendeva in consegna chi entrava nella sua zona : ora Cerezo, ora Falcao, scambiandosi l’avversario con Antognoni.
Il centrocampista in più, che alle volte avanzava centralmente verso la nostra area (Socrates), veniva chiuso dal libero Scirea.
In queste “giuste contrarie” per bloccare gli avversari risiede una parte delle ragioni che spiegano la nostra vittoria per 3-2.
Il resto lo fecero il talento offensivo, la furbizia, la fantasia unita alla tecnica di calciatori come Rossi, Conti e Cabrini.
Il senso tattico ed i piedi buoni di calciatori come Antognoni e Scirea.
L’agonismo e l’arte di marcare l’avversario di calciatori come Gentile, Collovati, Bergomi ed Oriali ed il sacrificio di atleti generosi come Graziani.
Ma soprattutto l’umiltà e la fame agonistica di un gruppo di calciatori compatto e tetragono come non mai.
Dopo quella partita capimmo che tutto sarebbe diventato possibile. Anche ciò che fino a quel pomeriggio era considerato impossibile.
Ed il caldo torrido siciliano di quel pomeriggio di luglio di 38 anni fa, passato davanti alla Tv, noi non lo sentivamo nemmeno, per quanto a fine gara fossimo sfiniti, svuotati di energie ma ebbri di felicità . . .
Mio padre, per l’arsura, volle che brindassimo alla vittoria con delle birre fredde, che trangugiammo. . .
. . . Ci guardavamo negli occhi e sorridevamo, “truzzando” e abbracciandoci . . .

. . . ignoravamo però che il meglio doveva ancora venire e Pablito ormai, risorto dalle ceneri, era il nostro eroe . . .

per leggere i tantissimi commenti a questi post ed aggiungere anche il vostro:
Gian Maria Tavanti: Non ci credeva quasi nessuno, in quel giorno di luglio.
Giacomo Pilati: quando l’Italia vinse i mondiali
Francesco Rinaudo: Lo ripubblico. Mi sembra il minimo . . . Il Brasile siamo noi !!!!

Io invece voglio ricordare quel ragazzo come noi con un motivetto… la musica sa molto di dopoguerra, il testo spensiarato scritto da un sedicenne che si chiama Paul McCartney che immagina i suoi 64 anni, oggi abbondantemente superati… la voce invece è quella di Mina con i suoi coretti e falsetti… Paolo Rossi ci ha lasciati a sessantaquattro anni… when I’m sixty four, Italy cries a boy like us!

Nicola Conforti

Giornalista. Faccio Radio dal 1976 parlando di Sport, Calcio, Basket, Vela, ma anche di Blues (http://www.mixcloud.com/NicolaNiQConforti/) e di Mototurismo di pura evasione come raccontato nel mio unico e solo best seller IO ELEFANTE..."Radio"grafia di un motociclista inventato (qualche copia ancora disponibile da http://www.facebook.com/ioelefanteniqconforti/)

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