“La Minchia di re è un pesce e fa parte del creato, vive naturalmente una trasformazione perché nasce femmina, deposita le uova e poi diventa maschio. Anche Pina, come la viola di mare – altro nome del pesce – non è sbagliata, non è malata. È chi non accetta la sua sessualità ad essere sbagliato perchè lei, come la viola di mare, è una creatura di Dio che si trasforma e si riappropria della sua identità”.
Così racconta Giacomo Pilati come Cecè, personaggio del suo “Minchia di Re”, aiuta Pina a prendere consapevolezza della sua condizione. Un aiuto per quella ragazzina impaurita e sola ad intraprendere il suo viaggio verso l’appropriazione del suo essere e ciò che sente di essere.
La nuova edizione di “Minchia di Re” dello scrittore e giornalista trapanese è stata presentata ieri pomeriggio alla Biblioteca “Fardelliana” di Trapani: insieme all’autore il giornalista e scrittore Ninni Ravazza – che ha condotto l’incontro – e l’attrice, autrice e regista Isabella Carloni.
Il romanzo, pubblicato nel 2004, oggi torna in libreria, sempre per i tipi di Mursia, con una nuova copertina e una “postilla” – così l’ha definita Pilati – dove l’autore racconta il suo “viaggio” nell’ideazione e scrittura del libro. A dare voce e corpo al romanzo di Pilati è stata Isabella Carloni, autrice della pièce teatrale “Viola di mare”, ispirata al libro dell’autore trapanese, che ha incantato ed emozionato il pubblico interpretando alcune letture tratte dal romanzo e recitando alcuni frammenti del suo monologo.
Nel libro vengono messi in evidenza tre aspetti fondamentali: il rapporto tra potere e verità, l’identità di genere e la questione meridionale. Pilati – partendo da fatti realmente accaduti – racconta la storia di una donna che vive la sua omosessualità in una Favignana di fine Ottocento, una donna che soffre perché prigioniera – all’inizio – in un corpo che sente non appartenerle e innamorata di Sara che non può amare perché è fimmina. Grazie alla posizione di “potere” che suo padre ha sull’isola riesce a trovare la sua libertà con l’aiuto della madre che convince il parroco a cambiare il certificato di nascita, la veste da masculo e presenta Pina, ormai Pino, alla società che l’accetta proprio perché ormai trasformata esteriormente in uomo. Pino eredita il lavoro e, quindi, il potere del padre: diventa curatolo delle cave di tufo, principale fonte di reddito di tante famiglie isolane.
Viene da chiedersi quando sia vicina o lontana, oggi, la storia di Pina/o. Tanti giovani non riescono ancora a vivere liberamente la propria sessualità. “Ho portato Viola di mare oltre i nostri confini, a Berlino e a New York – ha raccontato Carloni – grazie a questa storia, molti ragazzi hanno avuto l’opportunità di parlare di omossesualità, ancora oggi i giovani fanno fatica a esprimere la propria sessualità; stando con loro capisco che, a volte, si nascondono dietro questa storia per parlare di se stessi”.
Oggi come allora si fa fatica. Viviamo in una società dove ancora per parlare d’amore si fanno differenze e distinguo, come se l’amore non sia tale a prescindere se tra uomo e donna o persone dello stesso sesso.
“Io non ho scritto di un’amore omosessuale – ha sottolineato Giacomo Pilati – nel mio romanzo si parla dell’amore tra due persone, mi rendo conto, però, che ancora oggi non è facile, perché viviamo in una società patriarcale, dove si fanno differenze persino se un omosessuale è ricco o povero”.
Una storia di fine Ottocento in una Favignana dove in molti – quando l’autore faceva le sue ricerche per scrivere il libro – negavano la storia di Pina/o o parlavano di una reale patologia al tempo sconosciuta, per ricondurre lo scandalo nell’alveo più rassicurante della patologia fisiologica. “La svolta – ha raccontato Giacomo Pilati – è avvenuta grazie al film prodotto da Maria Grazia Cucinotta, “Viola di mare” del 2009: le parole del libro sono diventate improvvisamente verità riconosciuta da tutti. Il silenzio sulla vicenda che era stato tramandato da una generazione all’altra è svanito”. Quando lo scrittore è tornato a parlarne a Favignana ciò che prima era stato negato non lo era più: “grazie al potere delle immagini sulle parole, in molti volevano rendersi testimoni della storia di Pina/o”.
Nel libro di Pilati è a Cecè che viene affidato il compito di affermare una grande verità: non è facile essere se stessi, “bisogna morire un poco per poter rinasce come vuoi, come fa Pina, che come la minchia di re, si trasforma per poi rinascere Pino e riappropriarsi della sua sua sessualità”, dice lo scrittore. Del resto amare è un pò come morire, “si muore un po’ per poter vivere”, recitano i versi di una vecchia canzone, e Pina lo sa bene. In quel tempo e in quel luogo solo uccidendo quella parte di sé, quella vita da femmina e diventando Pino, la protagonista inizia finalmente a vivere e a poter amare finalmente la sua Sara”.
Oggi non dovrebbe più essere necessario, forse.
(Foto Ornella Fulco)
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