Si è chiusa con il patteggiamento la vicenda processuale degli imprenditori alcamesi Vito e Manlio Nicastri, indagati nell’inchiesta della Procura della Repubblica di Palermo sul giro di tangenti nel settore delle energie rinnovabili.
I due sono stati condannati per corruzione e intestazione fittizia di beni: due anni e dieci mesi il padre, due anni il figlio che è stato subito scarcerato.
Il patteggiamento, con il parere favorevole della Procura, è stato formalizzato dagli avvocati difensori dei due davanti al Tribunale di Palermo.
Nicastri aveva già provato a patteggiare davanti al gup la pena di due anni e nove mesi, la Procura aveva espresso parere favorevole, ma il gup, ritenendo le accuse a suo carico di “massima gravità”, aveva ritenuto la pena non congrua e rigettato l’istanza. Allo stesso modo aveva respinto anche l’istanza di patteggiamento di Manlio Nicastroi che aveva proposto la pena di un anno e 10 mesi. Adesso padre e figlio hanno riproposto l’istanza di patteggiamento a pene più elevate davanti alla seconda sezione penale del Tribunale che le ha accolte.
Il processo, che adesso dovrà proseguire davanti ad un collegio diverso, nasce dall’inchiesta che coinvolse Paolo Arata, Nicastri senior, il “re del vento” in affari con la mafia, i rispettivi figli, l’imprenditore Antonello Barbieri e il dirigente regionale Alberto Tinnirello, approdato al Genio civile dopo essere stato responsabile del Servizio III autorizzazioni e concessioni dell’Assessorato regionale all’Energia.
Restano separate le posizioni dell’altro dipendente regionale, Giacomo Causarano, e del figlio di Paolo Arata, Francesco, che hanno scelto il rito abbreviato.
Secondo i magistrati palermitani ci sarebbe un giro di tangenti per ottenere il via libera alla costruzione di tre impianti di energie alternative. Quando Vito Nicastri decise di collaborare con i magistrati finirono nei guai anche Causarano e l’imprenditore lombardo Barbieri. Causarano sarebbe stato il collettore delle tangenti – si parla di una cifra di 500 mila euro da incassare a cose fatte – da spartirsi con Tinnirello.
Sul parere favorevole dei pm al patteggiamento ha pesato la confessione di Vito Nicastri che ha ammesso le sue responsabilità e tirato in ballo quelle degli attuali indagati.
Nicastri è stato condannato, nei mesi scorsi, a nove anni di reclusione per concorso in associazione mafiosa ed è ritenuto uno dei finanziatori della latitanza del boss Matteo Messina Denaro.
Dallo scorso mese di giugno ha cominciato a parlare coi pm svelando i nomi dei protagonisti dell’ennesimo caso di corruzione nella burocrazia regionale siciliana. Una tranche dell’inchiesta della Dda di Palermo è stata trasmessa a Roma e riguarda una presunta mazzetta che Arata avrebbe pagato all’ex sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri.
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