Mafia: colpito il clan mafioso di Calatafimi, indagato il sindaco Accardo [VIDEO]

Eseguiti stanotte dai poliziotti del Servizio Centrale Operativo, insieme ai colleghi delle Squadre Mobili di Trapani e Palermo, tredici fermi disposti dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo che smantellano il clan mafioso di Calatafimi-Segesta.

Le accuse ipotizzate nei confronti degli indagati sono, a vario titolo, associazione mafiosa, estorsione, incendio, furto, favoreggiamento personale e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso. È in corso anche una serie di perquisizioni nelle campagne del Trapanese per la ricerca di armi.

Un avviso di garanzia è stato notificato al sindaco di Calatafimi, Antonino Accardo, eletto l’anno scorso con 1900 preferenze, oggi è accusato di corruzione elettorale (“50 euro a voto” si sente nelle intercettazioni) e di tentata estorsione, con l’aggravante di mafia. Fra gli indagati c’è pure un agente della Polizia penitenziaria in servizio alla Casa circondariale “Pagliarelli” di Palermo, accusato di rivelazione di segreto d’ufficio.

In manette è finito il nuovo capo della famiglia mafiosa che fa parte del mandamento di Alcamo, Nicolò Pidone, 57 anni, ex operaio stagionale della Forestale che era stato già arrestato nel 2012 nell’ambito dell’operazione “Crimiso”  che aveva portato all’arresto di appartenenti alle famiglie di Castellammare del Golfo e di Alcamo.

Le intercettazioni della Polizia hanno svelato incontri e contatti. In tanti si rivolgevano a Pidone per un consiglio o per la risoluzione di una controversia. Nel blitz è stato arrestato anche Stefano Leo, ritenuto vicinissimo a Vito Gondola, il boss di Mazara del Vallo che negli anni scorsi gestiva il sistema di comunicazione di Matteo Messina Denaro i cui contorni sono venuti alla luce nel corso delle varie fasi dell’operazione denominata “Ermes”. Sulla base delle ricostruzioni investigative Leo è risultato anche coinvolto nella latitanza dell’ergastolano Vito Marino, catturato dalla Polizia nell’ottobre 2018.

Le indagini, coordinate dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Pierangelo Padova e Francesca Dessì, hanno portato in carcere i nuovi componenti del clan di Calatafimi e anche un “colletto bianco”, ritenuto complice di Pidone. Si tratta di Salvatore Barone, fino alla scorsa estate presidente del Consiglio di amministrazione dell’Atm, l’azienda che a Trapani gestisce il servizio di trasporto pubblico urbano, ed ex direttore generale della stessa società. Più di recente era diventato il presidente della cantina sociale “Kaggera”, ora è accusato di associazione mafiosa. Secondo gli investigatori, infatti, sarebbe risultato completamente assoggettato ai voleri di Pidone che, direttamente o attraverso il proprio fiduciario, l’allevatore Gaetano Placenza, anch’egli sottoposto a fermo e componente dell’organismo direttivo della cantina, ne pilotava la policy, decidendo assunzioni di personale, finalizzate a dare sostentamento alle famiglie dei detenuti mafiosi, ederogazioni di denaro a favore di esponenti  di Cosa Nostra, aggirando le norme statutarie interne.

Tra le assunzioni più importanti figurano quelle di Veronica Musso, figlia del boss Calogero, ergastolano, già capo della famiglia di Cosa Nostra di Vita, e quella ancora in itinere di Loredana Giappone, moglie di un altro dei fermati, Rosario Tommaso Leo. Un ruolo importante quello di Salvatore Barone, anche nella veicolazione dei voti, in occasione delle elezioni amministrative a Calatafimi, verso lo schieramento facente capo all’attuale sindaco Antonino Accardo.

Su quest’ultimo gli inquirenti hanno raccolti importanti elementi indiziari tesi ad avvalorare il fatto che la consultazione elettorale che lo hanno visto vincitore sia stata condizionata dalla famiglia mafiosa locale che, attraverso persone ad essa vicina, ha fatto in modo di convogliare le preferenze, in cambio di somme di denaro, specie in famiglie di soggetti con precedenti penali e in stato di disagio economico. Gli inquirenti avrebbero documentato, inoltre, frequentazioni del primo cittadino con esponenti di Cosa Nostra ed un tentativo di recuperare somme di denaro, nei confronti di un imprenditore di Petrosino, ex socio in affari del sindaco, avvalendosi dell’intervento di Rosario Tommaso Leo, attraverso l’intermediazione della stessa famiglia mafiosa di Calatafimi.

Dalle indagini è emersa anche la consueta capacità di Cosa Nostra di “controllare” il territorio anche attraverso l’esecuzione di inchieste per ricostruire episodi criminosi avvenuti in zona e non “autorizzati” e di intervenire con atti intimidatori mirati, nei confronti di persone che, in qualche modo e anche collaborando con la giustizia, fossero di ostacolo. In quest’ultimo ambito si inquadra l’incendio della vettura dell’imprenditore Antonino Craparotta, ordito da Pidone e realizzato con il concorso di tre aderenti all’associazione mafiosa, Giuseppe Aceste e Antonino Sabella, quest’ultimo già in carcere perché colpito da provvedimento restrittivo nell’ambito dell’operazione “Cutrara” dello scorso giugno – e Giuseppe Fanara, tutti raggiunti dal fermo di oggi. Caprarotta aveva presentato denuncia contro l’imprenditore Francesco Isca ed altri soggetti implicati nella vicenda della gestione dei parcheggi vicino al Parco archeologico di  Segesta, culminata nell’emissione di provvedimenti restrittivi a carico di Isca e nei confronti dell’ispettore della Polizia Municipale Salvatore Craparotta.

Tra i fermati figurano anche l’imprenditore Leonardo Urso , di origini marsalesi e di professione enologo, e l’imprenditore agricolo Andrea Ingraldo, di origini agrigentine, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per aver assunto fittiziamente Nicolò Pidone, al fine, tra l’altro, di far figurare l’esistenza di una regolare posizione lavorativa per ottenere un trattamento meno afflittivo nell’ambito di un procedimento per l’irrogazione di una misura di sicurezza di cui è destinatario; Giuseppe Gennaro, altro esponente della famiglia mafiosa di Calatafimi, accusato, oltre che di associazione mafiosa, anche di aver rubato un trattore agricolo insieme agli altri esponenti didel clan Francesco Domingo, Sebastiano Stabile  e Salvatore Mercadante, anch’essi raggiunti da provvedimenti restrittivi nell’ambito dell’indagine “Cutrara”; Ludovico Chiapponello, di Calatafimi, figlio di Vito, esponente di spicco della “famiglia” mafiosa di Calatafimi, indagato per aver favorito l’associazione mafiosa con attività di bonifica per scoprire l’eventuale presenza di microspie nella dependance del casolare di contrada Sasi a Calatafimi dove Nicolò Pidone teneva i suoi incontri.

Alla base dei fermi eseguiti stamane, oltre al sospetto che il clan fosse in possesso di armi, per le cui ricerche sono stati impiegate sofisticate apparecchiature in dotazione alla Polizia Scientifica e cani antiesplosivo, anche le dichiarazioni intercettate, da parte di affiliati, di volersi dare alla latitanza nel caso fossero stati raggiunti da indagini e i riferimenti a pesanti ritorsioni per punire, a breve, uno di componenti del clan che non si sarebbe comportato bene confronti del capo della famiglia di Calatafimi.

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