Blitz della Squadra Mobile di Trapani che ha individuato un altro anello della catena di comunicazione del boss mafioso di Castelvetrano Matteo Messina Denaro.
Due persone sono state arrestate stanotte e sono state eseguite una quindicina di perquisizioni – a Marsala, Mazara e Castelvetrano – tra cui quella nell’abitazione della famiglia Messina Denaro a Castelvetrano dove abita l’anziana madre del boss. Nell’operazione, denominata “Ermes-Fase 3”, sono stati impiegati 90 uomini tra Questura, Commissariati della provincia e Reparti Prevenzione Crimine di Palermo e di Reggio Calabria, delle unità cinofile e del Reparto Volo di Palermo.
A finire in manette l’ennesimo “postino” dei pizzini, il 46enne Giuseppe Calcagno, di Campobello di Mazara, ritenuto dagli investigatori un fedelissimo dell’anziano capomafia di Mazara del Vallo Vito Gondola che era stato arrestato cinque anni fa: proprio in quell’indagine erano emersi i nomi di Calcagno e del 55enne pregiudicato Marco Manzo, il secondo arrestato di stanotte, anche lui di Campobello. Entrambi sono accusati di associazione di tipo mafioso ed estorsione.
Quindici gli indagati a vario titolo per associazione mafiosa, estorsione, detenzione di armi e favoreggiamento della latitanza del boss mafioso.
L’inchiesta, coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Paolo Guido, ha svelato altri passaggi della catena di comunicazione del boss latitante: in un dialogo è emersa la traccia di un biglietto giunto da Messina Denaro. “Ci vediamo alla mannara”, diceva Vito Gondola (morto tre anni fa), “Ho una rinisca (una pecora, ndr ) buona — sussurrava un altro favoreggiatore al telefono — quando vossia finisce di mungere la scannamu”. Un altro soggetto chiedeva: “La ricotta è pronta?”. Era il segnale che i pizzini del latitante erano arrivati. ‘U zu Vito, il custode delle comunicazioni di Messina Denaro, nascondeva i messaggi sotto un masso, in campagna.
Questa nuova tranche dell’indagine ricostruisce le mosse di Calcagno e Manzo: il primo si occupava della rete di comunicazione di Matteo Messina Denaro mentre il secondo dei collegamenti con gli altri mandamenti mafiosi. Manzo è uno dei “picciotti” del clan che, nel 2008, incendiò la casa al mare del consigliere comunale di Castelvetrano Pasquale Calamia, l’esponente del Pd che aveva chiesto a gran voce l’arresto di Messina Denaro.
Per gli inquirenti Giuseppe Calcagno ha costituito un punto di riferimento nel circuito segreto di comunicazioni per la veicolazione dei “pizzini” del boss latitante. L’uomo sarebbe anche intervenuto nella risoluzione di conflitti interni alla “famiglia” mafiosa o comunque per essa rilevanti; ha partecipato ad incontri e riunioni riservate con altri componenti dell’organizzazione, anche finalizzati allo scambio di informazioni, e ha mantenuto contatti con altri esponenti di vertice dell’associazione.
Anche Marco Manzo ha partecipato a riunioni e incontri con componenti e vertici delle famiglie mafiose della provincia di Trapani e di altre province e si è imposto nel territorio come imprenditore del settore dei carburanti, acquisendo unaposizione dominante in forza dalla sua appartenenza a Cosa nostra.
L’uomo è indagato, in concorso, anche per aver costretto, con l’intimidazione mafiosa, un dipendente di una società per la vendita di carburanti di Campobello di Mazara a rassegnare le dimissioni rinunciando al pagamento degli stipendi arretrati e alle altre spettanze economiche derivanti dal suo rapporto di lavoro.
Manzo era già stato condannato per aver favorito la latitanza del boss mafioso Vincenzo Sinacori e, successivamente, per il danneggiamento dell’abitazione del consigliere comunale di Castelvetrano.
L’indagine della Polizia ha accertato che i pizzini arrivavano in alcune date ben precise. “Arrivano con la stessa carrozza”, dicevano i mafiosi ma non si è ancora scoperta con certezza quale fosse la “carrozza” che portava i pizzini e da dove. Le regole erano precise: i biglietti andavano distrutti subito dopo la lettura e le risposte dovevano essere recapitate entro due settimane. Tra i messaggi del boss latitante c’è anche un pizzino del 2015 nel quale mostrava il suo interesse per un terreno a Castelvetrano: la “famiglia” mafiosa era allora intervenuta per convincere i proprietari, eredi del boss mafioso di Campobello di Mazara Alfonso Passanante, a “vendere” un loro appezzamento che era appartenuto, in passato, anche a Toto Riina.
Ulteriori dettagli sull’operazione saranno forniti dagli investigatori nel corso della mattinata. Per guardare il VIDEO diffuso dalla Polizia clicca QUI
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