Il 12 maggio si celebrerà la Giornata Mondiale del malato affetto dalla Sindrome da fatica cronica o Encefalomielite mialgica, un patologia che ancora oggi non è abbastanza conosciuta e che – purtroppo – tende a isolare i malati. La malattia è meglio nota con l’acromimo “Cfs” – dall’inglese Chronic Fatigue Syndrome – e “Me” – Encefalomielite mialgica.
Ne abbiamo parlato con Antonina Silvana Basciano referente Sicilia di AMCFS. Per ascoltare schiaccia PLAY:
Ogni anno, a maggio, in occasione della Giornata, l’Amcfs – Associazione Malati di Cfs cerca di far luce sulla patologia ancora sconosciuta e di sopperire alla disinformazione che circonda la Sindrome. L’Amcfs, infatti, investe i propri fondi nella ricerca, oltre che nella informazione e divulgazione delle conoscenza medico – scientifiche. La malattia comporta una progressiva comparsa di stanchezza invalidate, che costringe il malato a ridurre le sue capacità di oltre il 50 per cento, a causa di una profonda fatica che aumenta dopo qualunque sforzo: fisico, intellettivo o emozionale. L’Iom – Institute of Medicine, nel 2015, ha descritto la Sindrome come “una malattia sistemica, complessa, cronica e grave”, caratterizzata da una profonda stanchezza e da sintomi come alterazioni del sonno, mal di testa, febbricola, rigonfiamento o dolenzia dei linfonodi, dolori scheletro-muscolari, problemi di memoria e concentrazione.
La sindrome colpisce soprattutto le donne, in genere dai 25 ai 50 anni, ma sono in aumento le diagnosi in età adolescenziale. La malattia ha durata per lo più cronica, o comunque persiste nei soggetti ammalati per parecchi anni, con remissioni e ricadute, più o meno lunghe e violente, per cui non è ancora stato identificato un marcatore diagnostico e non c’è una cura specifica. La Cfs/Me viene diagnosticata solo dopo aver eseguito una serie di esami che escludono altre patologie che presentano la fatica, come ad esempio la sclerosi multipla, la miastenia gravis o la miopatia. La terapia è di tipo sintomatico, varia da caso a caso e non tutti i malati rispondono in modo soddisfacente al trattamento prescritto.
Grazie al lavoro che ha svolto negli anni la Agenas – Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, in Italia esiste una documentazione ufficile sulla Sindrome, permettendo al nostro Paese di essere uno dei pochi Stati ad avere un documento che descrive e riconosce il disturbo.
I malati spesso sono costretti a interrompere il proprio percorso di studi o lavorativo, la malattia, infatti, può quindi avere ricadute sociali importanti per quanto riguarda il mondo del lavoro o delle attività professionali in generale, dato che può costringere l’ammalato ad assentarsi dal posto di lavoro o al vero e proprio isolamento sociale. La Giornata mondiale del malato di Cfs/Me ricorre quest’anno in un periodo particolare: quello della pandemia di coronavirus. Chi soffre di Cfs/Me non è contagioso come il malato di covid, ma a suo malgrado si ritrova in isolamento non avendo più le energie per vivere la quotidianità così com’era prima di ammalarsi.
Lo smarrimento e le ripercussioni psicologiche provate negli ultimi mesi da tutte le persone confinate a casa – e non solo dai malati di coronavirus – a causa del lockdown è simile a quella provata e vissuta per mesi e anni, dai malati di Cfs/Me, con l’aggravante di essere “casi rari” e con la difficoltà di far recepire le loro problematiche alla società che spesso non comprende, o non si sofferma a pensare e cercare di capire, le persone che ne sono affette che finiscono così in una sorta di “dimenticatoio”.
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