La diversità che puzza e sporca “la bella Trapani”

Ci troviamo in via Garibaldi a Trapani, è mattina, i negozi sono aperti, una mamma passeggia con il suo bambino e i ragazzi sono appena usciti da scuola. Ma se ti trovi a camminare proprio in questa strada e presti attenzione vedrai anche lei.

È lì, seduta su una fredda panca di marmo. È silenziosa. Non parla con nessuno e se provi a rivolgerle la parola non risponde. Sta lì con i suoi ombrelli e qualche sacchetto. È impossibile non notarla, ma lei come tanti altri è un’invisibile o, forse, non lo è più.

È di ieri, 8 ottobre, l’interrogazione comunale presentata dalla consigliera Anna Garuccio, pubblicata poi su facebook, che recita:

“Lo stile di vita del soggetto in questione NON PUÒ ESSERE GIUSTIFICATA IN QUANTO SCELTA DI VITA DEL SOGGETTO, per i seguenti motivi; 1. Perché è inammissibile ritenere normale o condizione di scelta di vita l’atteggiamento di colui o colei che costantemente espleta i propri bisogni in luogo pubblico. Se così fosse tutti potrebbero farlo. 2. Se pur questa fosse scelta di vita del soggetto o altrui, di certo non lo rappresenta per gli altri cittadini che hanno scelto di vivere in un luogo civile”.

Una scelta di vita magari poco condivisibile e non convenzionale, ma che porta con sé un vissuto, un’identità che bisogna rispettare. È arrivata a Trapani tanti anni fa – mi raccontano – ed è rimasta qui. Non ha chiesto aiuto a nessuno e non lo vuole. Nonostante si chieda a gran voce un trattamento sanitario obbligatorio, questo non è applicabile, poiché non si tratta di una persona violenta o pericolosa.

“Con i Servizi Sociali – spiega il vice sindaco Enzo Abbruscato – abbiamo cercato di aiutarla più volte, ma non vuole il nostro aiuto. L’ultimo intervento risale a qualche mese fa: abbiamo ripulito insieme all’Asp, Municipale, Servizi Sociali e Polizia il posto dove bivacca la donna, e presto ne seguiranno altri. Sono accanto ai cittadini e ascolto anche le loro necessità ma la legge italiana impone di rispettare la volontà di una persona che ha manifestato liberamente la propria volontà di vivere così. Non siamo davanti a un’incapace”.

Oggi di lei si parla su facebook, probabilmente non sa nemmeno cosa sia, e si cerca tutti insieme di trovare una soluzione che non ha chiesto. Perché lì, a detta della consigliera e di qualche leone da tastiera, non può stare più. Adesso la preoccupazione principale è “la puzza” e “che i senzatetto sono potenziali diffusori di contagio – cito testualmente l’interrogazione – e per questo sarebbero dovuti essere tutelati anche durante il lockdown”.

Quindi, il problema è che un senzatetto ci contagi? O che fa puzza? O forse vedere un clochard ancora ci scandalizza?

Chi siamo noi per scegliere per lei? La soluzione – come propone il pubblico di facebook – potrebbe essere semplice: eliminiamo le panchine o mettiamola in un istituto e la “buttiamo” altrove come si fa quando ci sbarazziamo di un vecchio divano. L’importante è che stia in un posto dove non possiamo vederla e sentire il suo cattivo odore.

Piuttosto, prendendo spunto dall’interrogazione della consigliera, rifletterei sul concetto di “normalità” e di “luogo civile”.

Si parla di città civile, ma è la stessa Trapani che è abitata da cittadini incivili che buttano i propri rifiuti per strada, da chi ruba i risparmi di una vita alla gente perbene, quella dove i bagni pubblici sono chiusi, o dai cittadini che inondano via dei Pescatori a Erice Casa Santa di vestiti usati, o di chi urla sui social ai migranti che si trovano sulla nave quarantena: “rimandateli a casa loro, non li vogliamo!” È questa normalità o civiltà?

Ma per fortuna c’è anche una Trapani sensibile e umana, fatta di associazioni e volontari che aiutano i più deboli e che si occupano di chi ha poco o niente.
Come la Trapani solidale di “Un mediterraneo di pace” o dei volontari della Croce Rossa che durante il lockdown hanno dato un pasto a chi non aveva nulla sulla propria tavola.

Invece di eliminare ciò che non ci piace appelliamoci alla nostra coscienza, al senso di umanità che spesso perdiamo di vista perchè viviamo anestetizzati dall’odio che si propaga sui social e dalla paura del diverso.