Gli studenti del Nautico “Marino Torre” incontrano i detenuti della Casa circondariale di Trapani

“Il carcere non è l’inferno, il carcere è un luogo dove puoi riflettere e  mettere a posto i tuoi pensieri”. Non lo ha detto un sociologo o uno psicologo e neppure un educatore o un poliziotto penitenziario ma uno dei detenuti – il cinese Ye Yang – che, stamattina, hanno incontrato le quinte classi (e una quarta) dell’Istituto Nautico “Marino Torre” di Trapani. Gli studenti, accompagnati da alcuni docenti – tra cui il giornalista sportivo Fabio Tartamella che si è fatto promotore dell’incontro presso i vertici della Casa circondariale di Trapani – hanno potuto dialogare liberamente con detenuti di diverse età e nazionalità.

Come passate le vostre giornate? Cosa vi manca di più? Ci sono discriminazioni tra italiani e stranieri? Non avete pensato che potevate finire in carcere quando avete commesso reati? Queste e tante altre le domande alle quali Roberto, Massimo, Rosario, Costantin, Seifeddine, Francesco e i compagni hanno risposto raccontando la detenzione e raccontandosi: “Sono cresciuto per strada, senza regole, rubando quello che non potevo avere. Quando sono morti i miei genitori – ha detto Roberto – è stato terribile. Sono caduto anche nella spirale della droga e ho continuato a delinquere. Nel frattempo sono diventato papà di una bambina e, non vi nascondo, questo ha contribuito a cambiarmi la vita. Ho delle responsabilità verso di lei e verso la mia famiglia e ho capito quali sono le cose importanti per cui vale la pena impegnarsi. Adesso aspetto solo di terminare di scontare la mia condanna e tornare fuori, lavorando e tenendomi lontano dai guai”.

“Quando si nasce in certi quartieri, in certe situazioni è più facile sbagliare – ha detto Massimo – e non dico questo per cercare una giustificazione ma per farvi capire quanto è importante stare con le persone giuste e in ambienti sani”. “Sta comunque a noi scegliere, potevamo agire bene e invece abbiamo fatto il male – gli ha fatto eco Seifeddine, tunisino, da 12 anni in Italia dove era venuto in cerca di fortuna e dove ha anche commesso reati “perchè nessuno mi aiutava quando cercavo lavoro”. Adesso attende di terminare di scontare la sua condanna e poi, chissà.
Ed è proprio anche su questo aspetto che bisogna soffermarsi a riflettere, studenti e adulti, sul “dopo” che attende fuori queste persone che se anche – tramite i percorsi di studio e di formazione professionale intrapresi nel carcere trapanese – vogliono tornare sulla strada del rispetto delle regole, trovano invece ostacoli, diffidenze, mancanza di concrete opportunità di reinserimento.

Senza di questo il carcere rischia di restare solo – come ha sottolineato il comandante della Polizia Penitenziaria Giuseppe Romano, presente assieme al capo Area educativa Antonio Vanella – un luogo di grande sofferenza, pur tra gli sforzi di chi, come loro, è chiamato ad agire ogni giorno per non essere solo “guardiani di uomini”.

 

Ornella Fulco

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