Torna in carcere l’imprenditore dell’eolico alcamese Vito Nicastri, ritenuto vicino a Cosa nostra. Nicastri, da un anno agli arresti domiciliari, nonostante sia stato raggiunto da una maxiconfisca di beni per un miliardo di euro, avrebbe continuato – secondo i magistrati della Procura della Repubblica di Palermo – a gestire affari.
Video girati dalla Dia lo ritraggono mentre parla al balcone dei progetti sull’eolico fermi negli uffici della Regione Siciliana. La Procura, che lo teneva sotto controllo, ha chiesto e ottenuto, così, l’aggravamento della misura cautelare.
Indagando su Nicastri e anche grazie alle dichiarazioni di diversi pentiti, gli inquirenti hanno ricostruito un giro di corruzione di funzionari regionali siciliani finalizzato a ottenere i permessi necessari per progetti legati al cosiddetto mini eolico e alla realizzazione di due impianti di biometano. Insieme a lui risultano indagate altre nove persone.
Perquisizioni sono state disposte sia negli uffici dell’Assessorato regionale all’Energia, sia a Roma, oltre che nell’abitazione e nelle pertinenze dello stesso Nicastri, ritenuto un prestanome del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro.
Nicastri si sarebbe mosso per fare approvare una normativa a livello nazionale che avrebbe previsto ulteriori incentivi e finanziamenti agli investimenti nel campo delle energie alternative cercando l’appoggio dell’attuale sottosegretario per le Infrastrutture e senatore della Lega Armando Siri. Nelle intercettazioni si parla di una mazzetta di 30mila euro.
Nella lista degli indagati c’è anche il docente universitario Paolo Arata, genovese, 68 anni, ex deputato nazionale di Forza Italia e, nel 1994, presidente del Comitato interparlamentare per lo sviluppo sostenibile: negli anni scorsi è stato uno dei sette professori a cui Matteo Salvini ha affidato la stesura del programma di governo della Lega. Anche Armando Siri fu uno dei professori che, per “Noi con Salvini” si occupò di economia, riforma fiscale e flat tax.
Arata, che nel filone romano dell’inchiesta risponde di concorso in corruzione, è indagato anche a Palermo nel filone principale dell’dell’indagine per corruzione e intestazione fittizia di beni: secondo i pm siciliani sarebbe stato in affari con Nicastri.
Sotto inchiesta anche il figlio di Arata, Francesco, e il figlio di Nicastri, Manlio, per intestazione fittizia di beni.
Il sottosegretario Armando Siri ha dichiarato di essere all’oscuro della vicenda: “Non so niente – ha detto alla agenzia Adnkronos – non mi sono mai occupato di eolico in tutta la mia vita. Sono senza parole”. Siri, che ha affermato di non conoscere Nicastri, non ha ancora ricevuto l’avviso di garanzia, ma ha detto che chiederà di “avere al più presto notizie su questa indagine” e di essere sentito dai magistrati.
Armando Siri era finito al centro di un caso dopo che l’Espresso aveva rivelato il suo patteggiamento a un anno e otto mesi per il reato di bancarotta fraudolenta: la sua società, la Mediatalia, aveva lasciato un debito di un milione euro e 162 mila di tasse non pagate. Lui, però, sempre negato le accuse, durante una puntata di Report spiegò: “Non ho mai commesso alcuna bancarotta”.
Gli indagati nell’inchiesta – oltre a Vito Nicastri e a suo figlio, ai due Arata e a Siri – sono, per corruzione, l’ex dirigente dell’Assessorato regionale dell’Energia Alberto Tinnirello (nominato recentemente capo del Genio civile di Palermo) e il suo collega Giacomo Causarano; sempre per tangenti è indagato Angelo Giuseppe Mistretta, funzionario del Comune di Calatafimi, impegnato nelle istruttorie per il via libero agli impianti eolici, e Alberto Tinnirello, 61 anni, funzionario regionale, prima al Dipartimento dell’Energia e di recente nominato capo del Genio civile di Palermo; per associazione mafiosa è invece indagato l’imprenditore di Calatafimi Francesco Isca.
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