Coronavirus, parla l’esperto: “Non uccidete la socialità”

“Reprimere la socialità ha conseguenze dannose”. Questa è la teoria del sociologo Riccardo Pellegrino, cultore presso l’Università degli studi di Palermo ed esperto di conflitti sociali e interculturali. Lo studioso ci spiega in che modo queste norme per il contenimento del virus cambieranno la vita a un popolo, come quello italiano, così “fisico”.

“Se c’è un punto comune alle varie discipline psicologiche, questo riguarda l’insopprimibile bisogno dell’uomo, di ogni cultura o nazionalità, di affetto e di socialità. Reprimere questo bisogno porta a conseguenze molto dannose e non c’è bisogno di scomodare Freud, Eric Berne o altri grandi autori per avere conferme – dice Pellegrino – ; la socialità, quando non è stabilita da uno Stato etico o da precetti religiosi, non ha molto riscontro nella società. Certo, c’è un’emergenza sanitaria che giustifica questa proibizione ma comunque sono solo consigli che non avranno grandi ricadute né sulla società né in termini di contenimento del contagio. Questi sono provvedimenti che, oltre ad essere necessari sotto il profilo sanitario, mirano a rassicurare i cittadini: a dare certezza che le autorità si stiano prendendo cura di loro e controllino la situazione”.

C’è, però, il rischio che la paura possa incidere sui rapporti interpersonali. “La chiusura nei confronti all’altro – continua Riccardo Pellegrino – per evitare potenziali pericoli produce una situazione di paranoia, cioè di paura che, di volta in volta, si dirige su un bersaglio diverso, in base alla convenienza di chi l’ha indotta secondo il ben noto principio di creare un nemico comune che unisca tutti. Tale condizione psicologica peggiora sicuramente i rapporti interpersonali e pregiudica anche l’equilibrio e la pace sociale. Esiste comunque quell’insopprimibile bisogno di socialità che porta all’apertura e a una visione più critica della realtà sociale. Pensiamo alle reazioni sui social: accanto alle bufale e alle fake news, si diffonde una sana ironia che straccia il velo della paura per denunciare il virus per quello che è”.

C’è, anche, il pericolo di emarginazione per determinati gruppi sociali. “In questa situazione italiana, piena di paradossi, quelli che prima rischiavano l’emarginazione, perché impaurivano, oggi sono scomparsi dalla scena. Penso agli immigrati che fino a due settimane fa sembravano essere l’origine di tutti i mali italiani e che alcuni politici volevano rappresentare come untori anche per il coronavirus, portato dai barconi sulle coste italiane. Oggi sappiamo che il coronavirus è arrivato in Italia con un aereo, viaggiando in prima classe e portato da un italiano. Questo coronavirus ha dimostrato quanto sia importante, per una società avanzata, potere contare su una struttura sanitaria pubblica e capillare sul territorio, in cui medici e infermieri italiani della Sanità pubblica lavorino perseguendo l’obiettivo comune del benessere. Oggi abbiamo la possibilità di emarginare la paura, l’individualismo e l’egoismo per costruire una collettività italiana fondata sulla solidarietà e su solidi presupposti culturali”.