Coronavirus e carcere. A Trapani limitazioni ai colloqui tra detenuti e familiari

Mentre il deputato regionale dell’Udc Vincenzo Figuccia lancia l’appello al ministro della Giustizia
Bonafede a prendere in esame la possibilità di far scontare le condanne fuori dal carcere per ridurre tra la popolazione detenuta il rischio di contagio da coronavirus, anche alla Casa circondariale “Pietro Cerulli” di Trapani ci si trova a fare i conti con questa problematica che riguarda, ovviamente, non solo i carcerati ma anche i poliziotti penitenziari in servizio.

“Le disposizioni ministeriali varate in queste ore per fronteggiare l’emergenza coronavirus – dice Figuccia – impongono un ripensamento non soltanto sul fronte dell’istruzione e della pubblica amministrazione ma anche sul tema del sovraffollamento della popolazione carceraria italiana. Una piaga che denunciamo da tempo e che oggi, considerata l’incombente urgenza epidemiologica, mi spinge a lanciare un appello al ministro di Grazia e Giustizia e a tutte le autorità competenti, su tutte quelle giudiziarie, a prendere in esame l’eventualità di somministrare pene alternative alla detenzione”.

Si tratterebbe di “una misura che, in autotutela, avrebbe un carattere di temporaneità e straordinarietà” col fine di tutelare la salute sia dei detenuti sia del personale di Polizia penitenziaria che è esposto al potenziale contagio.

Al carcere di Trapani vengono già applicate restrizioni nei colloqui dei detenuti che possono incontrare, nell’apposita sala, solo due familiari ciascuno. Compatibilmente con le attrezzature disponibili, si sta facendo un maggiore utilizzo delle chiamate via Skype, strumento già introdotto da alcuni mesi per consentire soprattutto i contatti dei detenuti i cui familiari lontani.
Nelle aree più “sensibili” del carcere – come ad esempio la mensa per il personale – sono stati installati dispenser di prodotti disinfettanti per la pulizia delle mani.