Chiesto rinvio a giudizio per i due presunti autori dell’uccisione del poliziotto Agostino e della moglie

La Procura Generale di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio di Antonino Madonia e Gaetano Scotto per il duplice omicidio del poliziotto Antonio Agostino e della moglie Giovanna Ida Castelluccio e di Francesco Paolo Rizzuto per favoreggiamento aggravato.

La sera del 5 agosto 1989 Agostino e la giovane moglie incinta furono uccisi a colpi di arma da fuoco davanti all’ingresso dell’abitazione estiva della famiglia Agostino a Villagrazia di Carini. A sparare furono due killer giunti a bordo di una moto di grossa cilindrata, successivamente rinvenuta parzialmente bruciata non distante dal luogo dell’eccidio. I genitori di Agostino, sentiti gli spari, andarono a soccorrere il figlio e la nuora ma non c’era più niente da fare: erano entrambi già morti.

Le indagini si rivelarono sin da subito particolarmente complesse, principalmente per alcune evidenti anomalie. In primo luogo, risultava assente un qualsiasi movente plausibile. Dalle prime investigazioni ed in specie dalle dichiarazioni dei suoi “superiori”, Antonino Agostino appariva essere un agente addetto alle Volanti del Commissariato di Palermo – San Lorenzo, che non aveva mai svolto attività investigativa né, tantomeno, ricoperto incarichi sensibili. Nessuna ombra del resto, vi era mai stata sulla sua vita professionale.

In secondo luogo risultavano sottratti alla cognizione della magistratura documenti essenziali per l’accertamento delle cause dell’omicidio con la distruzione di manoscritti di Agostino rinvenuti nel corso di una perquisizione eseguita dopo il duplice delitto.
L’accertamento dei fatti è stato anche ostacolato dalla iniziale reticenza di vari soggetti informati della attività segreta del poliziotto nell’ambito di una struttura di intelligence, nonché dall’assenza di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, indici entrambi del peculiare regime di segretezza che aveva caratterizzato l’ultimo segmento di vita della vittima e le ragioni della sua soppressione che dovevano restare occulte anche all’interno di Cosa nostra.

Nella complessa ricostruzione operata dalla Procura Generale di Palermo, basata sulle indagini condotte dalla DIA e su inedite dichiarazioni di collaboratori di giustizia, di persone informate, su intercettazioni e su risultanze investigative acquisite nell’àmbito di un’attività di coordinamento con altre Procure della Repubblica, è emerso che l’agente Agostino assolveva anche a “mansioni coperte”, che esulavano dai suoi compiti ordinari istituzionali, con particolare riferimento ad iniziative assunte unitamente ad esponenti di spicco dei Servizi di sicurezza ed apparentemente finalizzate alla ricerca di latitanti di mafia di spicco.

Sono state acquisite, in particolare, dichiarazioni da parte di alcuni collaboratori di giustizia sugli esecutori materiali del delitto, indicati in Gaetano scotto e Antonino Madonia nonché, per al movente, che si è rivelato di peculiare complessità poiché ambientato nel torbido terreno di rapporti opachi tra componenti elitarie di Cosa nostra ed alcuni esponenti infedeli delle Istituzioni.

E’ emerso in particolare, nella ricostruzione della Procura Generale ora al vaglio del GUP, che Agostino faceva parte, insieme a Emanuele Piazza, Giovanni Aiello (il cosiddetto mostro), Guido Paolilli (anche lui agente della Polizia di Stato e mèntore dello stesso Agostino che aveva provveduto a reclutare), e altri componenti, allora apicali, dei Servizi di sicurezza, di una struttura di intelligence che, in fase di reclutamento, veniva rappresentata con finalità di reclutamento come ricerca latitanti ma che, in realtà, si occupava di gestire complesse relazioni di cointeressenza tra alcuni infedeli appartenenti alle Istituzioni e l’organizzazione criminale Cosa nostra.

E’ emerso anche da molteplici prove che Agostino aveva, nell’ultima parte della sua vita, compreso le reali finalità della struttura a cui apparteneva (e alla quale aveva offerto una pista molto seria – legata a familiari della moglie – per pervenire alla cattura di Salvatore Riina a San Giuseppe Jato), e se ne era allontanato poco prima del suo matrimonio, fatto che – secondo gli inquirenti – era alla base della decisione di uccidere lui e la moglie.

In particolare sono oggetto dell’istruttoria i rapporti di appartenenti alle Istituzioni con Antonino Madonia, incontrastato capo del mandamento di Resuttana a Palermo, e Gaetano Scotto, anche lui appartenente allo stesso mandamento e da sempre indicato come trait d’union con appartenenti ai Servizi di sicurezza.

Le prove raccolte e ora sottoposte alla valutazione del GUP, riguardano non solo dichiarazioni di collaboratori come Vito Galatolo, Giovanni Brusca, Francesco Marino Mannoia, Francesco Di Carlo, Giuseppe Marchese e Francesco Onorato ma anche di testimoni vicini al poliziotto ucciso, come colleghi e familiari. Ulteriori conferme sono scaturite dalle intercettazioni telefoniche, che hanno dimostrato il coinvolgimento della struttura in alcuni importanti depistaggi.
Dalle indagini condotte dalla DDA di Palermo e acquisite dalla Procura Generale, sono emersi anche rapporti di Agostino con Giovanni Falcone nella fase in cui il magistrato indagava sulla cosiddetta “pista nera” per l’omicidio del Presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella.

Nel contesto delle nuove indagini è emersa la figura di Francesco Paolo Rizzuto, detto “Paolotto”, nell’anno 1989 ancora minorenne, amico personale di Antonino Agostino. Come risulta in atti, al momento del duplice omicidio il giovane si trovava sul posto e la notte precedente aveva partecipato con il poliziotto ad una battuta di pesca. Successivamente, i due avevano dormito nell’abitazione estiva della famiglia Agostino a Villagrazia di Carini. La mattina dopo, l’agente si sarebbe recato in ufficio, mentre Rizzuto sarebbe rimasto insieme ai familiari di Agostino. Grazie alle investigazioni condotte dalla DIA di Palermo è stato possibile raccogliere prove, attraverso attività tecniche riservate, che ora sono al vaglio del GUP, sul fatto che Rizzuto, in più occasioni, abbia reso dichiarazioni false, contraddittorie e reticenti su quanto accaduto nel giorno e nel luogo in cui fu commesso il delitto e, in generale, su quanto a sua conoscenza (tale è la contestazione della Procura Generale). Dalle intercettazioni risulta che lo stesso ha dichiarato ad un proprio congiunto di aver visto Agostino a terra sanguinante e di essersi financo sporcato la maglietta indossata piegandosi sul corpo ormai esanime dell’amico, per poi fuggire buttando via l’indumento, precisando di non aver mai riferito tale circostanza quando venne sentito, poco dopo l’omicidio, dagli organi inquirenti. Per questo motivo è stato iscritto dall’Autorità giudiziaria per favoreggiamento personale aggravato.

Per 31 anni i genitori del poliziotto ucciso hanno chiesto giustizia e verità sull’omicidio. Il padre Vincenzo, da quel giorno; non si è più tagliato la barba come forma di protesta contro l’occultamento della verità sulla morte del figlio e della nuora. E dal febbraio 2019 combatte senza la moglie Augusta, stroncata da un cancro.

Ornella Fulco

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