“Gli ultimi non hanno vita facile se non riescono a trovare la propria strada di solidarietà”, così commenta Mimmo Calopresti, regista del film protagonista, venerdì scorso, nell’ambito degli appuntamenti di “EricèNatale – Il borgo dei presepi”.
Il film “Aspromonte – La terra degli ultimi”, ispirato da un romanzo di Pietro Criaco e dai ricordi di famiglia suoi e del produttore Fulvio Lucisano, è stato proiettato al teatro Gebel Hamed in Vetta.
Spesso molte persone sono costrette a combattere contro una società che le considera “invisibili” per affermarsi in questa collettività apparentemente inclusiva dove si dà per scontato che venga garantita a tutte le persone un’esistenza dignitosa.
La vicenda narrata si svolge alla fine degli anni Cinquanta ad Africo, un paese isolato, arroccato nell’Aspromonte.
Calopresti racconta un mondo poverissimo e la battaglia dei suoi protagonisti per riscattare la propria condizione, per affermarsi, per esistere, per conquistarsi un futuro migliore, per affrancarsi dalla condanna all’abbandono e all’emigrazione come unica possibilità di rinascita.
Lo scenario è quello a noi familiare del Sud, insieme luogo geografico e luogo dell’anima, e ci ricorda cosa, meno di un secolo fa, poteva essere il Meridione e quanto questo assomigli oggi, nei suoi sogni e nelle sue sconfitte, più che al nostro continente, a tutti i luoghi ai margini del mondo.
Ascolta l’intervista esclusiva realizzata a Mimmo Calopresti:
Al termine del film è stato avviato un dibattito con Mimmo Colapresti, Marco Rizzo, autore del recente reportage a fumetti “A Casa nostra – Cronaca da Riace” e Mimmo Lucano, intervenuto in collegamento telefonico, insieme al pubblico presente.
Nel film di Calopresti le persone che vivono ad Africo non possono permettersi di sognare o essere semplicemente dei bambini se vogliono sopravvivere. Ad Africo si muore di parto perchè non c’è un medico e a nessuno importa di quelle persone che vengono ignorate. I cittadini di quel disgraziato paese del Sud sono “invisibili” e per continuare a vivere devono fuggire dalla propria terra per costruirsi il futuro.
Chi sono gli invisibili di oggi? Gli ultimi non sono, purtroppo, soltanto i personaggi raccontati nel film, quelli che non hanno una strada che li collega alla cittadina più vicina o l’elettricità.
“Accade ancora oggi nella baraccopoli di San Ferdinando, dove non c’e l’elettricità e manca l’acqua corrente. In un contenitore del Ministero degli Interni c’è l’acqua fredda che viene scaldata in un pentolone per poi essere venduta a un euro al secchio”, racconta Marco Rizzo al pubblico: la baraccopoli di San Ferdinando, in Calabria, che accoglie migranti, registra il tasso più alto di mortalità e lì le persone subiscono ogni tipo di violenza e sfruttamento.
Sono anche loro i diversi di oggi. I migranti che fuggono dagli orrori del loro Paese di origine, loro come gli abitanti di Africo costretti a fuggire per poter ricominciare. Loro che “sono considerati il problema che arriva dall’Africa – dichiara Calopresti – senza pensare che non bisogna praticare la paura del diverso”.
Forse bisognerebbe guardare al modello ideato da Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, che aveva ridato vita a un paese ormai quasi del tutto spopolato a causa dell’emigrazione. Lucano vedeva nei migranti un’opportunità per “unirsi” e costruire una società multietnica che accoglie tutti, senza pregiudizi, un modello poi smantellato anche a seguito di inchieste giudiziarie e delle modifiche normative introdotte sui migranti.
“Sogno un mondo dove c’è la normalità dei rapporti umani, senza pregiudizi. È quello che voleva dimostrare Riace – ha commentato Mimmo Lucano – che contrastava il dramma dell’invasione del diverso. Chi arrivava a Riace poteva sentire che non ci sono differenze: accoglievamo tutti con umanità, uguaglianza e fratellanza”.
Forse “l’utopia della normalità” di Mimmo Lucano oggi può diventare realtà, possiamo arrestare la deriva della nostra società se facciamo sì che i valori della fratellanza e dell’uguaglianza diventino i pilastri di ogni collettività.
“Non possiamo più permetterci di vivere in luoghi bellissimi ma da cui è necessario andare via per creare il nostro futuro, questi posti devono diventare la nostra possibilità”.
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