Beni, per un valore di 250mila euro, sono stati definitivamente sottratti al commerciante castelvetranese Gaspare Como, cognato di Matteo Messina Denaro (per averne sposato la sorella Bice Maria), già sorvegliato speciale di pubblica sicurezza e attualmente detenuto per associazione a delinquere di tipo mafioso.
La confisca, eseguita stamane dalla DIA di Trapani, è stata disposta dal Tribunale di Marsala al termine del procedimento penale che ha portato alla sua condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione, per trasferimento fraudolento di valori, e, per concorso nel medesimo reato, alla pena di un anno e sei mesi a carico di Gianvito Paladino e di Bice Maria Messina Denaro.
La sentenza, integralmente confermata dalla Corte d’Appello di Palermo, è divenuta definitiva a seguito della dichiarazione di inammissibilità, da parte della Corte di Cassazione, del ricorso presentato dai condannati.
I beni sottoposti a confisca definitiva, già sequestrati dalla DIA di Trapani nel 2013, sono un negozio d’abbigliamento, un locale di circa 200 metri quadrati a Castelvetrano – intestato a Valentina Como (sorella di Gaspare) e una costosa auto di grossa cilindrata.
Le attività investigative hanno disvelato come Gaspare Como, mentre stava scontando la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, dopo aver scontato una lunga detenzione in carcere, avesse avviato una fiorente attività commerciale a Castelvetrano e continuato a fare investimenti in beni mobili e immobili e in aziende, intestando tutto a terze persone, nel tentativo di sottrarsi all’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali.
La riconducibilità di questi beni alla sua persona è stata dimostrata attraverso l’esame delle movimentazioni bancarie degli indagati (sui cui conti operava esclusivamente Como apponendo anche firme false) e delle intercettazioni telefoniche sulle utenze delle aziende, risultate da lui gestite in modo occulto.
Per questi fatti, nel 2018, è stato nuovamente sottoposto a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, su proposta del direttore della DIA, e arrestato insieme a Rosario Allegra (altro cognato di Matteo Messina Denaro, poi deceduto) e numerosi altri presunti affiliati a Cosa nostra, perché ritenuto il reggente della “famiglia” mafiosa di Castelvetrano.